Bene o male, abbiamo tutti dei blocchi che ci impediscono di essere come vorremmo o di fare ciò che ci piacerebbe, ed è quasi sempre la voglia di affrontare e superare questo blocco il motivo per cui una persona decide di intraprendere un percorso di counselling. Un esempio tra i più comuni: vorresti ballare ma ti vergogni. Qualcosa ti impedisce di farlo, eppure per gli altri sembra così semplice muoversi al ritmo di musica! Senti dentro, nel corpo, un elastico che ti trattiene, o forse un peso sul petto. E rinunci ad andare in pista a scatenarti. Oppure vorresti tanto dire delle cose, ma ti manca il respiro, e allora taci. Non ti soffermi su ciò che provi perché è doloroso e svilente, semplicemente non fai quello che vorresti, te la metti via, e bon.
Tecnicamente questa si chiama interruzione del ciclo del contatto, che consiste nel non riuscire a fare contatto con una propria istanza interiore. Qual è il motivo per cui ti vergogni? Da dove origina la vergogna? Come fare contatto con questa emozione e come risolverla?
La formazione quadriennale che ho seguito si occupa proprio di questo, di accompagnare le persone a fare contatto con ciò che provano, partendo dal modello della Gestalt. Questa teoria, nata cent’anni fa, si occupa di percezione. Il termine Gestalt significa forma, e viene compreso, per esempio, non appena si guarda questa figura, il famoso Triangolo di Kanisza.

Osservando questa immagine vedi un triangolo, eppure qui non c’è nessun triangolo! Il fatto è che il tuo cervello è abituato a costruirne uno partendo dagli elementi base che ha. Nella seduta di counselling vieni accompagnato a vedere e scardinare i tuoi automatismi. Ma un counselor più anche aiutarti ad imparare modi più efficaci ed efficienti per comunicare, simulando dialoghi e situazioni, guidandoti ad osservare ciò che ti si muove dentro emotivamente, comprendendolo ed utilizzandolo per arrivare a relazioni più trasparenti, con il mondo esteriore ma anche con quello interiore.
Il counselor accompagna il cliente (il termine paziente si usa solo per chi è malato) a risolvere i suoi disagi interiori attraverso una rimappatura delle sue abitudini e modi di interpretare la realtà, e lo fa non solo con le parole ma con appositi esercizi pratici. Attraverso il contatto con l’esperienza, osservando “da fuori” la situazione, la si contempla nella sua interezza, con tutte le sue sfaccettature, e non solo nella forma che ormai il cliente ha fissa nella sua visione.
È un argomento su cui c’è molto da dire, a maggior ragione da quando le neuroscienze hanno sviscerato il legame tra cervello ed abitudini, per cui ne scriverò ancora!
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